Ciao,
sono Fatima, non sono la Madonna ma faccio miracoli lo stesso; tipo ieri, andavo per campi, ho visto due pellegrini: chiedevano arte contemporanea. Giorni dopo avevano in posta questa newsletter.
Hanno cioccato Geco, chi sia stato non si sa; forse quelli della mala, forse la pubblicità. Hanno cioccato Geco, non si sa neanche il perché. Avrà fatto qualche sgarro a qualche industria del caffè.
Oggi non parliamo di me che cercavo di convincere la crew a comprare a Colli Albani un pennarello nero da 5 cm per fare tag grosse così sul 506; o di quando rubavamo la pietra dai binari di Ciampino per incidere sui vetri; no, oggi parliamo di come le scritte sui muri sono importanti.
I conti stanno a zero: Virginia dice di averci liberato da un pericoloso criminale e c'è chi invece mette in mezzo Haring, Basquiat e Banksy; in questa tesissima polarizzazione noi chiamiamo in campo la Storia quella con la esse grande. Vi risparmio a malincuore i graffiti preistorici indagati da Herzog, peccato anche per le scritte ritrovate sopra i muri a Pompei, un po' dispiace non parlare della blasfemia dei lanzichenecchi sugli affreschi di Raffaello e non scadrò in Viva verdi. La nostra Storia comincia con una telefonata intercontinentale.
“Theophilus, non fare sesso orale con le ragazze contro i muri della città come un cane”. Vecchi bacchettoni di Pompei
Parigi, 1968, Nanni Balestrini tiene attaccata all'orecchio la cornetta di una cabina telefonica, dall'altra parte della linea la Galleria Tartaruga di Roma. Balestrini detta le scritte sui muri di quel maggio parigino, pare pare vengono riportate nel bianco intonaco della galleria. I muri della Sorbona, così si chiama la performance parte di quel magnifico calderone di appuntamenti passato alla storia come Teatro delle mostre. Nanni dice qualcosa tipo: «No ma quelle scritte mica le ho fatte io. Cioè, in qualche modo le ho fatte anche io, perché in realtà non le ha scritte nessuno, e se nessuno le ha scritte, in un certo senso, dico, le abbiamo scritte tutti». Perché il punto fondamentale della questione è ovviamente l'autorialità di quei segni. La cornice è quella della poesia visiva degli anni Sessanta: un netto rifiuto della firma individuale e braccia protese verso la comunità. L'autore scompare, parlano tutti gli altri.
Bataille ha definito le grotte di Lascaux la cappella Sistina della Preistoria
Prendiamo i primi due libri di Franco Vaccari: Pop esie ed Entropico. Sono due lavori di poesia visiva: pezzi di frasi, parole tagliate dai giornali e riviste, ricomposte, attaccate sulla pagina e pubblicate. No perché altrimenti non si capisce come Vaccari arrivi a dare alle stampe quel capolavoro che è Tracce e arrivi a teorizzare poi l'inconscio tecnologico. Ma parliamo un attimo di Tracce. Stampato nel 1966 da Sampietro editore, raccoglie una serie di fotografie in bianco e nero introdotte da un saggio di Alberto Spatola. Il soggetto delle foto? Scritte sui muri, ma anche disegni, segni, insomma tracce, raccolte ovunque: sui muri, sulle porte, sui manifesti pubblicitari, nei cessi e dentro i locali. Prese tutte insieme parlano di una bella Italia andata, un racconto corale e anonimo incredibile. Anche qui non è stato Vaccari a fare tutte quelle scritte, e lui forse aggiungerebbe: «Non sono stato neanche io a fare tutte quelle foto» è stata la macchina fotografica, il suo inconscio, quello tecnologico. Ma questa è un'altra storia.
Franco Vaccari, Le Tracce, 1966
Capisco che domande come: chi è? chi ha fatto cosa? siano una forte tentazione, soprattutto nel caso di questioni legate all'anonimato: tipo quello che scrive(va) a lettere cubitali un po' ovunque per Roma Geco. Ma la riposta è pettegolezzo e noi non ci abbassiamo al gossip, al nome, al cognome, noi non siamo guardie.
Grazie a Paolo da Morena per la foto
Il '68 dicevamo, e dopo gli Anni di piombo, scrivere sui muri è un gesto politico, occupare uno spazio pubblico per dire quello che si voleva dire e che non si diceva in televisione e sui giornali.
Poi, rapidamente, arriva la doppia H, il writing, Basquiat, Haring, Hel sulla Tuscolana, io che facevo i corsi di bombing all'autogestione del liceo e tutta questa roba qua la poggiamo un attimo lì. Diciamo solo che la questione scritte sui muri si allarga e diventa una cosa seria: chi è nato o si è formato fra gli anni '80 e '90 ha sentito la necessità di farci in qualche modo i conti. Una cosa seria in senso numerico: fra tag, argentoni, pezzi, dediche d'amore e di odio, sui muri si costruisce un'altra città, un altro testo della città, un sistema anarchico di segni che dalla città parla di una città diversa.
Le scritte sui muri sono alfabeto, vangelo
In tempi più recenti arriva Giulia Crispiani. Il 29 febbraio fa questa mostra a Il Colorificio: OSSESSO. Tutti i muri dello spazio sono ricoperti da scritte sbombolettate, fatte con il pennarello, con la penna; grandi, piccole, in corsivo, in maiuscolo, nere, fluorescenti, rosse, inglesi, italiane; una sovrapposizione di voci fra grida e sussurri da perderci la testa. Pare uno spazio occupato, squottato, potrebbe essere una stanza di tossici, un covo delle Br, addirittura un cesso di scuola, di un locale. Sono pezzi di frasi, a volte solo parole: è un diario che però non vuole essere quello dell'artista, ma di tutt*. Crispiani fonde la performance di Balestrini con gli intenti catalogatori di Vaccari: a quello che raccatta in giro per le strade e riporta sui muri di Il Colorificio aggiunge del suo, entra a far parte di quella comunità che prova a rappresentare, l'artista non è più esterna, è complice, è sporca, è schierata, è terrorista.
Giulia Crispiani, Ossesso, 2020, Il Colorificio, Milan. Courtesy the artist and Il Colorificio, Milan. Photography by Jasmina Martiradonna
Il muro scavalcato da Crispiani è inquadrato in Painting di Alterazioni Video. Un piano sequenza di 16 minuti e 32 secondi lungo tutto il lato esterno del carcere di San Vittore a Milano. Vengono riprese le scritte e le cancellazioni delle scritte lasciate da chi è fuori per chi è dentro che chissà quando potrà leggere. Un lavoro strappalacrime: “la violenza è dello Stato”, “Marta libera”, “Più sassi sulla polizia”, “Fuoco alle carceri”. E mi immagino sempre che fra le scritte cancellate ci sia: “t'ho fatto i broccoletti ripassati per quando esci”. E piango.
Stessa città, Milano, diversi muri, simili intenti. Fabrizio Bellomo nel maggio del 2019 entra dentro la Fondazione Feltrinelli di viale Pasubio e sbomboletta sulle vetrine della libreria le scritte trovate in giro per la città. Oltre le parole e dopo il vetro trasparente c’è Milano, impossibile non vederla filtrata da quelle scritte, non interpretarla con quei segni. Le frasi allora vengono ridate a chi le ha scritte, alla città che le ha prodotte e fra le righe si legge l’omaggio a Giangiacomo Feltrinelli, certo non l’editore: il terrorista.
“Br ammazzate” è invece evidentemente un’ossessione. Dobbiamo ringraziare due borsiste di Villa Medici: Coline Sunier & Charles Mazé che durante la loro residenza hanno setacciato il centro di Roma fotografando segni, graffiti, scritte, disegni appartenenti molto probabilmente allo stesso autore anonimo. Lo spiegano meglio loro nel libro che hanno pubblicato: Come vanno le cose?
Come vanno le cose? È una raccolta di 1512 scritte rilevate sui muri di Roma tra il settembre 2014 e il febbraio 2015, riconducibili ad un unico autore dall’identità sconosciuta. Le iscrizioni sono visibili lungo le strade più accuratamente conservate del centro storico. La collezione presenta qui una varietà di segni che sono stati scomposti, trascritti e classificati secondo tipologie relative alla forma e la contenuto, rilevando così un uso particolare della scrittura, di volta in volta razionale, ossessiva, articolata e selvaggia. Come vanno le cose? È un corpus di scritte romane contemporanee, che sebbene si presentino solo in forma parziale (molte vengono cancellate e ne compaiono regolarmente di nuove) testimonia l’importanza del linguaggio – tanto istituzionale quanto popolare – nello spazio collettivo della strada.
Di natura diversa ma ugualmente improntata sulla condivisione testuale in uno spazio collettivo è l’azione messa in campo nei giorni scorsi da Iginio De Luca con la partecipazione di Albumarte. Sta scrivendo… porta nelle strade della capitale una serie di conversazioni private avute tra l’artista e il curatore su WhatsApp mentre organizzavano la mostra del 2017 nello spazio romano no profit.
Volete che con “linguaggio popolare” vi parli di Pasquino? Naaaaaaaaa, dai
Svastiche che non lo erano
I pariolini di diciott’anni che comprano e vendono cocaina hanno poi, a volte, una passione per le svastiche. Le trovavate sui caschi, sugli scudi e ovviamente sui muri. Storte. Non starò qui a dare giudizi, ma ecco: la dice lunga l’incapacità di ricostruire una forma elementare e nota come quella di una svastica. Eppure, tant’è.
A impedire a una mano di lavabile di cancellare la storia ci pensa Giovanni de Cataldo. Su calchi di iscrizioni antiche, romane soprattutto, de Cataldo mette su un cortocircuito. Svastiche sbagliate, croci celtiche, segni fallici vengono aggiunti con la bomboletta su queste antichità trasformandole in veri e propri palinsesti. Un gesto ambiguo: da una parte imita il vandalismo ma dall’altra pare mettersi in continuità con gli antichi graffiti.
Una perfetta rappresentazione di questa tendenza, di significanti senza significato, di svastiche senza nazi, o peggio, di nazi senza svastiche mi sembra una delle ultime fatiche di Union Edition: dietro a quello che sembra un lavoro grafico si insinua il dramma. Lorenzo Mason segna direttamente la lastra tipografica con un marker. Tutto qui. Ma quei segni sembrano rappresentare altri segni che non significano niente, movimenti della mano che vanno a vuoto e non scrivono, non dicono, rimangono muti. Neanche ci provano a chiudersi e parlare, non cercano una forma, un senso: come le svastiche storte sono svuotati d’ideologia. È un bel lavoro, mi sembra, specchio dei nostri muri.
Detto questo, vi siete iscritti in molti (daje!), Fatima è stata anche ripresa da Link Molto Belli (bomba!), da zio su Twitch e citata da Wired tra le migliori newsletter del 2020; e niente: qui ci sono le puntate precedenti che come questa non danno risposte. Del resto questo fanno le apparizioni: confondono.
Bene, se è tutto chiaro ci vediamo prossimamente per un'altra apparizione. Nel frattempo sapete dove trovarmi (qui e qui).