Ciao,
sono Fatima, non sono la Madonna ma faccio miracoli lo stesso; tipo ieri, andavo per campi, ho visto due pellegrini: chiedevano arte contemporanea. Giorni dopo avevano in posta questa newsletter.
Oggi voglio aprire con questo video, non perché ci stiamo avvicinando all’estate e abbiamo tutti voglia di arricciare polpi e sbracarci al sole. È che la pandemia ha fatto affiorare tendenze marinaresche insospettabili: i Sea Shanties sono solo un illustre esempio. Se qualcuno cortesemente cazza la randa, possiamo partire.
L'antica legge del mare
Tutti presi a seguire quanti spicci ci spettassero dal recovery plan, ci è forse sfuggito che il vero conflitto agli inizi di maggio non si stava consumando in Commissione europea ma poco più lontano, nel bel mezzo delle acque della manica. Una battaglia che passerà alla storia come la guerra del pesce.
È evidente che in mare aperto si mettono in campo leggi e priorità diverse rispetto alla terraferma e, mentre restrizioni e nuove aperture post covid interessavano gli stati limitrofi, in quella porzione d’acqua salata, lunga circa 50 km, il tema di discussione principale ruotava intorno alla pesca di merluzzi e capesante che l’isola di Jersey cercava di vietare alla Francia.
Qui trovate tutto. Per farvela breve, dopo la Brexit le isolette del canale protette dalla Gran Bretagna hanno rivendicato con arroganza un nuovo accordo entrato in vigore nel 2021: i pescatori Ue possono accedere al largo della costa britannica, ma devono chiedere il permesso. Gli inglesi ci tengono alle buone maniere, peccato che le licenze siano difficilissime da ottenere.
Una storia triste per la Francia, che sappiamo quanto ci tenga alle coquille Saint-Jacques, con un esito potremmo dire epico. Ottanta pescherecci francesi si sono radunati per protestare contro le condizioni di pesca imposte, chiedendo l’annullamento delle restrizioni. Boris Johnson, per tutta risposta, manco fosse Nelson, fa pattugliare il canale di Jersey da due navi da guerra della Royal Navy dai nomi mitologici: gli dei Severn e Tamar. Gli schieramenti erano pronti all’attacco, poi è arrivata diplomazia a rovinare tutto.
Niente però potrà togliere alla storia quel clima da Trafalgar, quella partita giocata sul pelo dell’acqua che si è conclusa con con una prima vittoria della Gran Bretagna e la ritirata dei pescherecci francesi, in attesa di nuovi negoziati. Scommetto 100 pound che a Downing Street Boris Johnson stava già rispolverando la scatola della battaglia navale.
Questa è la guerra del pesce dipinta da Turner
Luci e ombre si specchiano sul canale, mentre motovedette ribelli ondeggiano oltrepassando confini nemici.
Se solo i barcaroli francesi avessero saputo trarre ispirazione dalle opere di Christo a quest’ora avrebbero vinto almeno la battaglia. Data la vicinanza dell’isola di Jersey con le coste della Francia, pensateci bene: sarebbe bastata una passerella galleggiante per fregare gli inglesi. Allego progetto, magari per la prossima volta. Prego.
La storia finisce qui ma, bada, non è un caso isolato di follia pandemica: il delirio acquatico percorre leghe di distanza fino ad arrivare al Canale di Suez in un racconto così incredibile che neanche l’immaginazione marina di Conrad avrebbe potuto partorire.
Qualche mese prima della guerra del pesce succede che la Ever Given, una delle navi portacontainer più grandi del mondo, si incaglia nel Canale di Suez per diversi giorni e non c’è verso di scastrarla. Siccome non tutti sono Schettino, e in questa storia mancavano riferimenti epici, ecco che arriva a salvare la situazione il rimorchiatore italiano Carlo Magno che scava sabbia creando una fossa per liberare la nave. Con tanto di principi base di fisica illustrati.
Quello che oggi resta non sono solo gli ingegnosi consigli e meme proliferati sul web, tra cui anche un videogioco per spalare la sabbia e liberare la Ever Given, ma anche la traccia della manovra registrata dal gps fatta dall’imbarcazione prima di restare bloccata tra i due lembi di terra. Vale la pena cliccarci, fidatevi: vorrei non averla mai vista per vederla sempre come fosse la prima volta.
E già me lo immagino Gianni Berengo Gardin che sentita la notizia accanna con quei timbri Vera fotografia, fa bagagli e bagaglini, arriva a Suez, trova la stessa roba della Giudecca, scatta due foto, scusate due “vere foto”, torna a casa, ci piazza due timbri e poi ci fa una mostra: il Vero ingorgo.
Comunque, menomale che alla Ever Given è andata bene perché l’ultima volta che si è ostruito quel gigantesto imbuto che è il canale di Suez, 14 navi sono rimaste ferme così per otto anni, senza poter andare né avanti né indietro, manco fosse un film di Emma Dante. La vicenda è ambientata in quello che si chiama Grande lago amaro, più esattamente dove sfocia il canale di Suez. Tra il 1967 e il 1975, durante il conflitto tra egiziani e israeliani, i primi decidono di bloccare il canale per evitare che venga preso dagli israeliani. Gli equipaggi che restano bloccati nel lago non c’entrano niente ma si trovano costretti a gettare le ancore e aspettare. Così decidono di fondare una micronazione. Erano anni di mitomania mondiale e tirare su stati era all’ordine del giorno: Isola delle rose docet.
Tengo il ritmo, prendo un caffè
Vabbè, diciamolo, è che quando sei a bordo, il sole incoccia e hai il vento contro, a un certo punto succede che non ci stai più tanto con la testa. Con un magistrale progetto del 2012 Yuri Ancarani la chiama la malattia del ferro ed è una specie di sindrome di quelli che passano troppo tempo in mare, su una piattaforma o su una nave. Quando tornano sulla terraferma quasi sempre i malati hanno un’irrefrenabile necessità di salpare di nuovo e prendere il largo.
Verso la fine del Quattrocento, racconta tale Sebastian Brant, poeta alsaziano, da qualche parte all’orizzonte si poteva avvistare la nave dei folli, 111 vite che vagavano in balia delle onde, verso Narragonia, paese che non c’è. Il tema, che aveva affascinato Hieronymus Bosch, è la traccia data agli artisti in mostra a Fondazione Memmo per Conversation Piece | Part VII.
C’è chi però in mare ci ha lasciato le penne in eroiche traversate. Prendi Bas Jan Ader, artista degli anni Settanta, voleva tornare da Cape Code a casa sua, in Cornovaglia, e voleva farlo in gran stile: con una performance. Decide così di attraversare l’Oceano su una minuscola barca a vela: trovata poetica e letale. In Search of the Miraculous è il titolo del progetto con cui avrebbe dovuto documentare il viaggio di circa due mesi. Ader però non arrivò mai a destinazione. Sei mesi dopo la barchetta venne trovata vicino alle coste dell'Irlanda. E c’è chi ha il coraggio spacconarsela per aver sorvolato la manica con un Flyboard.
Il mare incanta, il mare uccide, costruisce tempeste, divora navi, regala ricchezze, non dà risposte, è imprevedibile. Ma soprattutto il mare chiama.
Lo sa pure Baricco con una casa a Torino e una a Parigi, a debita distanza dall’acqua salata. Lo sapeva bene Ulisse quando attraversava Scilla e Cariddi e si faceva legare a un palo per non cedere al suo richiamo.
Pascali, per esempio, non ha resistito e il risultato è un addio struggente alla scultura classica
È un fascino che in passato ha stregato letterati ma soprattutto pittori, che raccontavano di zattere e naufragi di fregate, di porti sicuri e impressioni al levar del sole. Possiamo dire che il feticismo del mare si manifesta sotto diverse forme.
Pascali aveva la fissa di volerlo ingabbiare in circa 32 mq di vasche quadrate di alluminio zincato. Gea Casolaro crea invece un database gigantesco che raccoglie foto caricabili da chiunque in qualunque nazione, località, epoca e stagione nelle quali sia presente almeno una porzione di Mar Mediterraneo. Il lavoro si concretizza nel 2020 e si chiama Mare Magnum Nostrum, un atto d’amore prima che un progetto artistico che quest’estate entrerà nella collezione permanente del Museo Nazionale di Ravenna.
In genere però va detto che gli artisti contemporanei sono più rozzi e hanno in testa meno barchette e più navi cargo; Ancarani non è l’unico. Prendi The Owner’s cabin: un programma di residenze che invita a turno un artista a bordo di una nave da trasporto marittimo per realizzare lavori ispirati allo iodio.
Lulù Nuti ci ha passato un mese imbarcandosi dal Brasile tra l’odore di pesce e il rumore del vento. Il risultato è Orizzonte Sestante e Cardiograms, che trasforma il sestante in scultura mentre su 13 fogli registra i movimenti casuali di una penna durante la navigazione: una specie di scrittura automatica sotto forma di diario di bordo.
Stessa esperienza e diversi obiettivi il viaggio di Mariagrazia Pontorno, partita dall’Europa per raggiungere Rio de Janeiro, ripercorrendo le tappe del viaggio fatto nel 1817 dall’Arciduchessa Leopoldina d’Austria che salpò verso il Brasile per sposare il Principe ereditario di Brasile e Portogallo. La nobildonna, per niente scema, aveva fatto salire a bordo scienziati, pittori, botanici per condurre ricerche nel paese oltreoceano. La Pontorno, in altra epoca e con altri strumenti, nel progetto Everything I know ha potuto raccontare tutte le esperienze fatte su una piattaforma online.
In mare, ma a questo punto dovrebbe essere chiaro, succedono robe incredibili.
Ci sono più cose in cielo e in mare, Orazio, di quante tu ne possa sognare con la tua filosofia.
Tipo: insospettabili viaggi fatti su navi-officina da operai cinesi che lavorano instancabilmente per modellare a bordo gigantesche colonne classiche. Si tratta di copie di pilastri greci: il marmo viene estratto in Cina e si confezionano queste opere di architettura posticcia direttamente durante il trasporto. Così, tanto per ottimizzare i tempi. Il capitalismo, dico, l’avete voluto voi.
Il progetto si chiama The Column, lo firma Adrian Paci
Uno o più subbaqui
È Christoph Büchel a ricordarci come il mare può essere anche oscuro teatro. Nel 2019, alla Biennale di Venezia, l’artista svizzero trasforma in un’installazione il relitto navale recuperato dopo il naufragio del 2015 nel Canale di Sicilia.
Ma non tutti però si preoccupano di riesumare resti affondati. La zattera di Lampedusa, opera di Jason deCaires Taylor ispirata a quella della medusa di Géricault, riproduce un gommone insieme ad altre sculture acquatiche sul fondale marino. Le lascia lì, senza branchie e senza bombole a vivere sott’acqua. A Lanzarote, tra l’altro, l’opera fa parte della prima galleria sottomarina mai realizzata in Europa.
Molti infatti credono che le profondità degli abissi siano molto più interessanti della superficie. Damien Hirst è evidentemente uno di loro. L’artista avrebbe voluto trovare tesori inestimabili sui fondali marini ma la storia non è andata così. Per non perdere la faccia decide però di montare su una parruccata esemplare: il ritrovamento farlocco di antiche civiltà dimenticate nel fondo degli abissi. Il risultato è la mostra Treasures from the wreck of the unbelievable portata a Venezia qualche anno fa.
E c’è chi invece in quell’acqua, fra quei fondali, vorrebbe viverci forzando la propria natura di mammifero terrestre. Giovanni Vetere (aka. Agnes) infatti non cerca tesori sott’acqua ma con l’acqua ha un rapporto quasi viscerale e si immerge quando può per testare le sue capacità di adattarsi a un nuovo ambiente, quello acquatico, come in questa performance per The Orange Garden.
Tu sei nato per fare il pescatore e il pesce è nato per fare il pesce
Hemingway prova a dirlo a Vetere. Secondo me non ci sta.
Bene, se è tutto chiaro ci vediamo prossimamente per un'altra apparizione. Nel frattempo sapete dove trovarmi (come sempre qui e qui). Ah, ecco, una cosa importante. Nei prossimi mesi Fatima è ospite di Inside Art. Quindi, se vedete la newsletter anche su questo sito è tutto apposto, non denunciate nessuno.