Ciao,
sono Fatima, non sono la Madonna ma faccio miracoli lo stesso; tipo ieri, andavo per campi, ho visto due pellegrini: chiedevano arte contemporanea. Giorni dopo avevano in posta questa newsletter.
Niente pipponi in vista: sedetevi e rilassatevi. Vi racconto quello che mi ha detto Sabrina da Brescia, nuova iscritta; con una mail ci teneva a informarmi che Roma detiene un record importante, addirittura mondiale: quello di autobus pubblici che prendono fuoco da soli. Interessante Sabrina, interessante.
Ho fatto qualche ricerca, Sabrina non me ne volere ma le fonti vanno sempre verificate. Pare sia proprio così, ho anche tirato fuori qualche dato: nel 2016 fra Atac e Tpl sono stati 36, nel 2017 schizzano a 46, l'anno successivo ci assestiamo su un 44, nel 2019 con fare borghese scendiamo a 23, risalgono invece nel ventiventi a 28. L'ultimo caso è invece del 2021. Forse non ne avete sentito parlare: non fa più notizia. Sali su un autobus e se non ti becchi il covid vai a fuoco, così è la vita.
A questa tendenza tutta romana abbiamo dato anche un nome che sa di un gusto chimichissimo per gelatari di periferia: Flambus. Sì, un cono da due euro, mi ci metti stracciatella e Flambus, grazie; e doppia panna. Sabrina, qui da noi la panna sul gelato non si paga, non so se a Brescia tu puoi dire lo stesso.
Se brucia tutto quanto/la morte quando viene te se incolla/ e non esiste santo
Ah, la piromania! Distruttiva e romantica. Per secoli croce e delizia della psicoterapia cognitiva. Ma non cadrò in tentazione, abbiamo detto niente pipponi. Proverò quindi a non cercare Flambus sotto alle ceneri della cultura. A non pensare al lato oscuro delle fiamme, che nel corso della storia hanno fatto crollare dietro a una nube di fumo monumenti, edifici, gloriosi simboli delle civiltà come Notre-Dame. E farò finta che non mi siano venute minimamente in mente analogie tra questi roghi e quelli che ancora oggi incendiano Minneapolis, come per le Macerie dell'ultima newsletter.
Questa volta provo a lasciarmi tutto alle spalle, proprio come Lana del Rey.
Grazie a te Sabrina cercherò di godermi questo fantastico sogno infuocato, nel quale un gruppo di performer animano la scena artistica romana, come cuochi assatanati flambano i mezzi di trasporto dando vita alla più spettacolare mise en scene degli ultimi anni. Lasciatemi davanti a queste fiammelle scoppiettanti, svegliatemi quando l'ultima si è consumata.
Quando rimangono solo coriandoli
Manifesto Piromane
Flambus è:
- un'attitudine verso l'arte
- per l'importanza della non importanza
- i particolari della vita
- il solo movimento artistico capace di mangiarsi la coda
- più importante di quanto non crediate
- meno importante di quanto non crediate
- mandare a morte uno spettacolo
- leggere il giornale di un altro attraverso il buco fatto nel proprio
- addormentarsi e russare durante un concerto di Stockhausen
- gettare 20 litri d'olio sulla scena di Gisèle
- Vostell quando spiega la storia dell'arte
- George Brecht quando evita la storia dell'arte
- Dare fuoco agli autobus per strada
In realtà si tratta del decalogo Fluxus ma il senso è più o meno lo stesso. Siamo di fronte alla firma di artisti navigati e questo è palesemente un gesto sovversivo che con un'incredibile potenza scavalca le istituzioni museali e porta l'arte in strada. Persino quel reazionario di Jean Clair una volta ha scritto che se venissero gli alieni sulla terra capirebbero a cosa serve una casa, uno stadio, una stazione, non comprenderebbero mai a cosa serve un museo. Eccoti accontentato Jean, ancora una volta: sorpassata la street art, archiviati i monumenti abbattuti, arriva Flambus, ennesimo risultato di una politica che promuove l'arte urbana. Non mi stupirei se un artista, uno a caso, per esempio Nico Vascellari, fra qualche anno rivendicasse la paternità di queste azioni, e sarebbe francamente un capolavoro. Lamiere piegate, facciate di palazzi storici anneriti dal fumo, fiamme in pieno centro, passeggeri e autisti annoiati prima che disperati, pompieri e guardie, giornalisti come il pecorino sulla pasta, traffico, tanto traffico. Il caos: un capolavoro senza precedenti.
Nerone, Seneca, zippo imperiale e nafta regale: il resto è storia.
Perché questo fa il fuoco: altera. Trasforma la materia, cambia i colori, daje e daje lascia solo la cenere di qualunque cosa. È fondamentalmente ingestibile e contemporaneamente necessario, si tira appresso un carico pesantissimo di mitologia e paure ancestrali. Non è assurdo allora che gli artisti, mitomani per definizione, abbiamo cercato in qualunque modo di usarlo, piegarlo ai propri scopi come divinità pagane.
Pennelli di Fiamme
Ma la verità è che ho messo su questo carrozzone solo per costringervi a vedere questo video. Chiamami Sabrina, anche di notte, e ne parliamo quanto vuoi. Credo sia una delle cose più belle camuffate da documentario che io abbia mai visto. Parigi, anni Sessanta. Esterno. Yves Klein cammina con una tela sotto il braccio, sale delle scale, apre la porta. Stacco. Interno. In gilet e camicia armeggia goffamente con un lanciafiamme contro la tela. A sinistra gli fa compagnia un uomo vestito da vigile del fuoco visibilmente preoccupato. E basterebbe questo, ma no. Klein appiccia la tela e il pompiere interviene con un getto d'acqua ridicolo. Seguono i primi piani tesissimi di entrambi alternati alle fiamme sulla tela. E siamo neanche a due minuti di video, poi vi dico solo che diventa a colori, compaiono delle donne nude e pseudo scienziati indaffarati con tanto di camice bianco.
E se è vero che Klein è stato un artista gigante, maestro di judo e di fuoco, bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare. E Cesare in questo caso è Alberto. Un paio di baffi, statura poco significativa e un'aura da poeta che ti schianta a spanne di distanza. Parlo ovviamente di Burri che con i suoi sacchi e le sue tele ha ribaltato la faccia della storia dell'arte. Dopo di lui non sappiamo neanche più cosa può fare una tela: rappresenta qualcosa? È essa stessa materiale da rappresentare? Quei sacchi sdruciti, tirati e intelaiati sono sacchi o rappresentazioni di sacchi? Dove sta il confine fra realtà e rappresentazione? Ma non andiamo fuori tema. Solo per ricordare che Burri, comunque, in vita sua non ha mai spiccicato parola e non sappiamo se la nostra interpretazione dei suoi lavori sia corretta (o comunque simile alla sua), o se in realtà la sera prima di andare a letto ci derideva: un incredibile e poetico silenzio brilla su tutto il suo lavoro. E quindi niente, siamo più o meno nel 1957, e lui, senza giustificazioni, ha preso la plastica, l'ha messa alla bene e meglio su un telaio e poi ha acceso il fuoco. Le chiamava Combustioni. Di parole zero, è vero, ma di video a frotte. Almeno due: uno dei primi; e il capolavoro con Cesare Brandi che mi fa volare quando dice con quella zeppola: «Il suo pennello di fuoco accarezzava le plastiche trasparenti». Che classe.
Fiamme nel campo rom, mia madre lo diceva: non andare su youporn
Nel sogno infuocato, Sabrina, c'è anche una simpatica storia locale che con le fiamme ha parecchio a che fare. Ora ti spiego; siamo a pochi passi da Roma, siamo a Sambuci, che ogni anno saluta l'estate con un enorme rogo in piazza Roma. Ci dovresti andare, nel centro del paese, al tramontare dell'estate brucia ogni anno una pupazzona alta tot metri fatta di ferro e cartapesta con dentro un tipo che la fa ballare avvolta dal fuoco. Intorno al fuoco, serrati in un cerchio impazzito, si corre, si urla e si danza fino allo sfinimento mentre le fiamme mangiano ferro e cartapesta. In quella centrifuga, fra brasche impazzite, sudati fradici, illuminati solo dalla fiamme e sotto i tamburi, si consuma un altro sogno, quello dei bambini che a Sambuci ci passano l'estate: diventare cenere come quel pupazzo e non dover andare a scuola il giorno dopo.
E chissà se è mai stato a Sambuci Lee "Scratch" Perry. Se non ci è mai stato, bisognerebbe portarcelo. Anche lui, ammaliato dallo sfavillio incandescente delle fiamme, ha intrecciato la sua vita con il fuoco in diverse occasioni. Ben due volte vittima della sua stessa propensione mistica, ha rischiato la vita prima nell'83, poi nel 2015 quando ha dato fuoco al suo studio (qui il racconto nel dettaglio). Solo un incidente? «Did you burn it Leo?», gli hanno chiesto i suoi fan. Molti hanno letto queste vicende in chiave ascetica, associandole alle tradizioni Obeah diffuse in Giamaica.
Da queste premesse è nato Negus, il progetto di Invernomuto
Riti sciamanici, pratiche religiose ed esoteriche legate al fuoco ci riportano non solo a un sentimento suicida condiviso ma alla ragione stessa del falò. Quasi tutti i paesi del centro Italia, più o meno lo stesso giorno, salutano l'estate con le fiamme. Finisce l'estate, ci si prepara per l'inverno e tutti muoiono un po'. A Sambuci quella gigante di ferro e cartapesta si chiama Signoraccia ma in altri paesi ha altri nomi tipo: Pupazza, Pupazzona. E di quella danza folle e ancestrale in dialogo con la morte, illuminata dalle fiamme, l'artista francese Pierre Gaignard ha dato una rivisitazione diciamo coreografica: Bagnolet chamanique 4K. Dopo aver vissuto in Abruzzo e partecipato a questo rito dionisiaco mette su un accrocco montato sulle spalle di una ballerina che lancia botti e fiamme ballando, mentre lo scheletro di un motorino le gira intorno sparando fuoco e fumo, che tu non capisci se sei tornato indietro a qualche rito sciamanico preistorico o è semplicemente un sacrificio del futuro al dio Flambus.
Sabrina, poi non mi dire che non è pura avanguardia quella del centro Italia, in Nevada nel '91 hanno inventato un intero festival dedicato al fuoco, il Burning Man, che culmina nel rogo di un gigantesco fantoccio in legno.
L’anno scorso invece a Torino, nel letto del torrente che delimita l’ex baraccopoli di Lungo Stura, il collettivo MRZB ha dato fuoco a quattro streghe fatte con i rami trovati, per il progetto Weathered Shabby Shabby Brenches: Vernal Festivity of the Four Clari. Una specie di intimo rito di iniziazione, come spiegano qui: «Gli unici spettatori eravamo noi, G. e il suo amico macellaio, che stavano passando per caso e si sono fermati a guardare».
Se fossi foco, bruciav'
Coattissimo, San Lorenzo martirizzato su una graticola a Roma, alla domanda arrogante della guardia di turno se tutto andasse bene, in punto di morte risponde: «Da questa parte sono cotto, girami pure bro».
Ah, la tua fottuta musica alternativa, ah i jingle
Solo i duri sparano fiamme, solo chi pensa lo spazio come un ambiente denso, privo di vuoti, pieno di materia da piegare, plasmare, alterare e bruciare, spara fiamme. Nessuno lancerebbe fuoco nel nulla come ha fatto Jannis Kounellis con la sua Margherita, pensando il nulla intorno. Con quel lavoro l'artista greco apparecchia un cortocircuito da Storia: la margherita diventa di ferro, da naturale ad artificiale, da fiore simbolo di innocenza diventa un'arma: la corolla spara fiamme al pubblico. Anche il fuoco allora, unico elemento naturale rimasto, diventa sintetico originato come era da una bombola a gas attaccata al fiore di ferro. Arcangelo Sassolino sembra riecheggiare questo lavoro del 1967 quando nel 2013 mette su un marchingegno che lancia fiamme a tre metri di distanza e che ogni domenica dopo il gp ne spara una per 58 secondi in omaggio al pilota di moto Simoncelli morto sulla pista. Una gigantesca marmitta di fuoco in luogo di un noioso monumento celebrativo. Capolavoro.
Va bene ma voi mi direte: voglio di più, voglio gente che brucia, lacerata dal dolore e io posso consigliarvi di andarvi a ripescare tutte le illustrazioni dell'Inferno dantesco che sbucano come funghi in questo anno dedicato alla morte del sommo poeta, elegantissima per esempio la serie di Zuccari proposta dagli Uffizi.
E ok, ma tu Sabrina, con quel vizietto di appicciare boschi, lo so, chiedi di più.
Nft, 500k, meme e fiamme: Zoë Roth, lei sì che ti capirebbe.
Io posso solo accontentarti con uomini che si danno fuoco dentro una corazza d'acciaio, mentre pedalano in bicicletta in piazza Duomo a Milano. Ho per te il nome giusto: Paolo Buggiani, un pittore, un artista che si autocombustiona nel mondo dagli anni Ottanta. E di fiamme, in generale, nell’arte ne abbiamo a pacchi: in primis Bill Viola, ovviamente
E il collettivo italo francese Claire Fontaine che nel 2011 bruciava i P.I.G.S.
Comunque, e chiudo, Sabrina quando vuoi vieni a Roma ci prendiamo da Termini il 170 e andiamo diretti da Giolitti a mangiare un cono con doppia panna, il Flambus non so se c'è. Offro io.
Bene, se è tutto chiaro ci vediamo prossimamente per un'altra apparizione. Nel frattempo sapete dove trovarmi (come sempre qui e qui). Ah, ecco, una cosa importante. Nei prossimi mesi Fatima è ospite di Inside Art. Quindi, se vedete la newsletter anche su questo sito è tutto apposto, non denunciate nessuno.